Soltanto quando le prime luci dell’alba si sono alzate sulla città, come ogni giorno, come se nulla fosse accaduto, il terrore della notte ha preso forma, concretizzandosi nella mente e nel cuore della gente nelle sembianza della devastazione. Solo allora la paura si è trasformata in orrore, lo shock in incredulità. Il buio è ciò che ha fatto più paura quella terribile notte. Le urla strazianti dei feriti e il pianto insistente di chi cercava mamma, papà, o il suo bambino scavando con le mani tra le macerie hanno lasciato il passo a un silenzio surreale.
L’Aquila, quella mattina, non era più la città caotica invasa da traffico, impiegati con la borsa che escono dagli uffici e studenti che percorrono i vicoli del centro storico, ma un deserto di macerie attraversato da gente in pigiama, con una sola pantofola, persone scioccate senza una meta e con le piazze invase da anziani seduti sulle panchine e avvolti da grigie coperte.
Veduta aerea della devastazione
La prima impressione che ho avuto, la più sconvolgente, è che non tutti fossero ancora intimamente consapevoli di ciò che era accaduto. E’ come se quella distruzione fosse, in fondo, una sorta di inattesa normalità. Il volto degli anziani per strada e i loro occhi tersi ma segnati dal tempo sembravano capaci di sopportare un evento simile. La loro voce apparentemente rassegnata, ma in realtà forte e gentile, caratterizzata da un inconfondibile accento aquilano era scandita da concetti chiari e concreti, argomentazioni ripetitive e ovvie, come il canto dei passeri al mattino. «Non abbiamo più niente, ma siamo vivi», la frase più ricorrente. Più irrazionale la reazione dei giovani. Poche lacrime, poche parole, e sul volto lo sguardo della paura.
Quella notte lo scossone ha messo fuori uso gli impianti elettrici del centro e i cellulari hanno smesso di funzionare. E solo sapere la sorte dei propri cari o di un amico, è diventato impossibile.
La prima immagine dopo il sisma trasmessa dal satellite Geoeye
I primi soccorsi arrivano proprio da chi il sisma lo ha subito. Si inizia a scavare tra i frantumi delle proprie case. Molta gente viene fuori dalle macerie. C’è chi riesce a liberarsi da solo sollevando pietre e cemento. Una donna resta appesa alla rete del letto, penzolando nel vuoto da 15 metri, dopo il crollo del solaio del suo appartamento al quinto piano, fino a quando alcuni giovani non l’aiutano a scendere. Sono centinaia le storie incredibili, decine i salvataggi miracolosi. C’è chi riesce a fuggire facendosi largo tra le pareti di mattoni forati che si staccano dalle colonne portanti. C’è chi tenta di scendere dal balcone perché le scale sono crollate. E c’è chi non ce l’ha fatta. Alcuni fuggendo precipitano nella tromba delle scale perché a causa del buio non si accorgono che le rampe sono sprofondate. C’è chi si copre la testa con il cuscino, ma viene travolto da massi, travi e detriti. E c’è chi prova a fuggire ma rimane schiacciato dalle pareti. (altro…)