Categoria: Parola Commento al Vangelo del giorno


Commento al Vangelo del giorno

Ti è mai capitato un amico invadente?

Ti è mai capitato un amico insistente, invadente?
Che idea ti siete fatta di lui?
Ti è mai capitato di assecondarlo per sfinimento?
Che giudizio hai di quell’amico?
La verità è che lui è un vero amico, più di te che non gli chiedi nulla.
E’ vero, è uno scocciatore.
Ma è scocciatore chi è stato scocciato per primo. Non si fa problemi a chiedere al suo amico perché a lui non darebbe fastidio se accadesse l’inverso. Lui è un vero amico perché farebbe lo stesso quando tu vai a disturbarlo. Lui insiste con te, si permette di esagerare, di chiederti tanto perché ti ritiene un vero amico.
Questa è la vera amicizia, altrimenti restiamo nel politicamente corretto.
Invece dobbiamo essere invadenti. I nostri rapporti non devono essere freddi, a distanza di sicurezza.
Dobbiamo essere coraggiosi con chi si ama. Abbiamo paura di chiedere per non dare fastidio, perché gli cambiamo i piani. Invece dobbiamo chiedere, dobbiamo pretendere che le relazioni siano profonde.
Quanti rapporti finiscono male perché non si ha il coraggio di chiedere!
Chiedere e dare sono indissolubili. Bisogna dare, è vero, ma bisogna anche chiedere, altrimenti qualsiasi relazione è monca.
Accade così nel vangelo di oggi, quando l’amico viene a mezzanotte a chiedere tre pani perché ha un ospite, un amico affamato giunto da lontano, e non ha nulla da offrirgli. Lc 11,1-13
Si vede sbattere la porta in faccia ma insiste e alla fine, se non altro per l’insistenza, gli aprono la porta e gli danno il pane.
Dio questo vuole da noi, che chiediamo con insistenza, senza stancarci dopo mezzora, dopo un giorno: “chiedete e vi sarà dato”, con insistenza, senza vergogna, senza paura. Come fa Abramo quando lo convince a risparmiare Sodoma.
Però (c’è un però) se vogliamo che le nostre richieste siano accolte (qui parliamo di miracoli mica di briciole) dobbiamo fare attenzione a cosa chiediamo.
Quel pane che chiede a mezzanotte non è per sé, ma per l’altro amico affamato che attende. La sua è l’importunità per un altro amico. L’inopportunità dell’amore che non si rassegna al vuoto.
Sbagliamo quando siamo insistenti per chiedere briciole anziché pane, quando cerchiamo nel volto di Dio banali rassicurazioni anziché cose che veramente contano, cose importanti.
Diceva Padre Pio: quando chiediamo un miracolo, chiediamo un grande miracolo.
Santa Monica ha pregato trent’anni per la conversione del figlio senza ottenere nulla. Quel figlio alla fine è diventato Sant’Agostino.

Peccatori sì, ipocriti no

“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume”. Mt 23, 27-32
Un cristiano che si vanta di essere cristiano ma non fa la vita da cristiano è un ipocrita e tutti sappiamo quanto male fanno alla Chiesa i cristiani ipocriti.
Gesù perdona sempre, ma l’unica condizione che chiede è che non si voglia condurre questa doppia vita.
Bisogna dire no all’inganno e riconoscersi #peccatori perché Dio li accompagna ed è con loro.
I farisei puliscono l’esterno del bicchiere e del piatto ma l’interno è pieno di avidità e di cattiveria. Mt 23,23-26
Chiediamo al Signore di non stancarci di respingere la religione dell’apparire, del sembrare, del fare finta di…
Dovremmo invece fare silenziosamente il bene, gratuitamente come noi gratuitamente abbiamo ricevuto la nostra libertà interiore.

La sindrome di Giona

A volte ci diamo da fare, cerchiamo di essere migliori e di cambiare a forza di azioni. Ebbene, le azioni contano e sono necessarie. Ma le azioni non possono sussistere se non come conseguenza dell’amore. Prima amiamo, poi facciamo, prima preghiamo, poi facciamo. Solo l’amore conta perché le opere sono la diretta conseguenza dell’amore. Le opere senza l’amore non arriveranno mai a compimento. Abbiamo troppa fiducia in noi stessi e poca fede in Dio. Troppo spesso contiamo solo su noi stessi ma noi siamo fragili e senza l’amore di Dio finiamo per cercare una giustizia personale. Questa si chiama Sindrome di Giona.

“Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona”. Lc 11,29-32

Siamo tutti lebbrosi

Lo siamo tutti lebbrosi. Siamo noi i dieci lebbrosi dela parola di oggi (Lc 17.11-19) e la lebbra sono i nostri peccati.

E così i lebbrosi, appena vedono Gesù cominciano a gridare: “Gesù!”
Insieme al cieco e al ladrone, questi lebbrosi sono gli unici a chiamarlo per nome. “Gesù!!”

Lui si ferma e risponde loro: “Andate dai sacerdoti”. I sacerdoti erano quelli che verificavano la malattia e in caso di guarigione riabilitavano socialmente i lebbrosi, emarginati della società.  Gesù dice loro: “Andate a Gerusalemme”. Anche Gesù andava lì. Quindi in sostanza dice loro “Fate quello che faccio io”. Ed è lungo il cammino che furono guariti. È il cammino “di” e “con” Cristo che ci salva.

Uno dei dieci lebbrosi non va a Gerusalemme. Era l’unico che  aveva capito dove stava il vero tempio! Torna da Gesù, tempio vivente.  Ringraziò Gesù (Eucariston).  Celebrò l’eucarestia.

Tutti dovremmo domandarci: ti interessano  più le misericordie di Dio o il Dio di misericordia?
E così Gesù dice al lebbroso: “Alzati (Risorgi) e va, la tua fede ti ha salvato!”. Non solo viene salvato nei suoi anni della vita, dalla malattia, ma viene salvato per tutta l’eternità. “Ti do la vita eterna, mica solo la guarigione dalla lebbra!”. Questa è la  volontà di Dio per noi. Non meritavo nulla e Lui mi hai dato tutto, mi ha dato questa vita. Ma il Signore va oltre: mi dà di più, mi dà l’eternità!!

Ma gli altri nove lebbrosi che fine avranno fatto? Quelli che non seguono Gesù che fanno?
Gesù dice all’unico lebbroso tornato indietro: “Va”! Significa: “Vai a dare il messaggio a tutti, tu sei salvo, ok, ma vai a salvare anche gli altri”.

E questo è il messaggio che Dio dà a chi lo segue: vai a salvare anche gli altri!

In prossimità della nostra coscienza

Premessa.
I lebbrosi erano dei malati che non morivano, ma non guarivano. Erano però morti per la società. Erano quelli che sono gli emarginati di oggi.

Antefatto.
I samaritani erano visti come gli stranieri di oggi. Infatti discendevano dagli stranieri pagani deportati in Israele  per sostituire l’élite degli ebrei “puri” deportati. Difficilmente potevano essere visti in modo positivo. Gli ebrei e i samaritani non si parlavano tra di loro perché si odiavano.

Fatto.
Dieci lebbrosi si fermarono a distanza e dissero: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?».

Epilogo.
Non è sempre facile dire grazie. Spesso diamo tutto per scontato. Andiamo in chiesa e quando abbiamo un problema preghiamo Dio e i santi. Come se i santi e le chiese fossero supermercati di grazie e miracoli. Poi però invece di dimostrare la nostra riconoscenza con i fatti, cambiando vita, aiutando gli altri, diciamo “grazie” a parole e siamo a posto.

Non è sempre facile neanche mettere al primo posto il nostro prossimo. Forse doniamo per i poveri e i malati lontani, in Africa, ma voltiamo le spalle ai nostri fratelli vicini, stranieri.  Ci facciamo “prossimi” solo di chi vive  “in prossimità” del nostro senso di colpa, della nostra coscienza ma non riconosciamo nel volto degli stranieri il volto di Cristo.

In prossimità della nostra coscienza

Premessa.

I lebbrosi erano dei malati che non morivano, ma non guarivano. Erano però morti per la società. Erano quelli che sono gli emarginati di oggi.

Antefatto.

I samaritani erano visti come gli stranieri di oggi. Infatti discendevano dagli stranieri pagani deportati in Israele per sostituire l’élite degli ebrei “puri” deportati. Difficilmente potevano essere visti in modo positivo. Gli ebrei e i samaritani non si parlavano tra di loro perché si odiavano.

Fatto.

Dieci lebbrosi si fermarono a distanza e dissero: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?». Lc 17.11-19

Epilogo.

Non è sempre facile dire grazie. Spesso diamo tutto per scontato. Andiamo in chiesa e quando abbiamo un problema preghiamo Dio e i santi. Come se i santi e le chiese fossero supermercati di grazie e miracoli. Poi però invece di dimostrare la nostra riconoscenza con i fatti, cambiando vita, aiutando gli altri, diciamo “grazie” a parole e siamo a posto.

Non è sempre facile neanche mettere al primo posto il nostro prossimo. Forse doniamo per i poveri e i malati lontani, in Africa, ma voltiamo le spalle ai nostri fratelli vicini, stranieri. Ci facciamo “prossimi” solo di chi vive “in prossimità” del nostro senso di colpa, della nostra coscienza ma non riconosciamo nel volto degli stranieri il volto di Cristo.

Il mondo si fonda sui sì, con i no non si è mai andati da nessuna parte

La storia dell’umanità è costellata di #sì: Abramo, Mosè, i profeti, Giuseppe. Poi #Maria e infine Gesù.

Con i no non si è mai andati da nessuna parte. Ogni giorno siamo chiamati a dire sì o no, siamo chiamati a scegliere tra essere cristiani del sì, oppure nasconderci dietro un no con la testa bassa come Adamo ed Eva, facendo finta di non capire ciò che ci chiede il Signore.

Gesù si aspetta da noi che siamo capaci di sacrificare la nostra volontà per fare la sua, nella certezza che in questa offerta non sempre facile c’è la realizzazione piena della nostra libertà e della nostra vita.

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». Lc 1,26-38

Il concetto di gratis

A volte a un buon cristiano viene da pensare: “Perché gli altri non pagano le tasse e io sì?”
La risposta è semplice: “Perché io mi fido del Signore e lui mi ha detto non rubare”.

“Il giusto vivrà mediante la fede” dice Abacuc 2:4. Per questo i discepoli dicono a Gesù: “Accresci in noi la fede”. E Gesù aveva appena detto: “Guai a chi scandalizza un piccolo”, oppure “perdona 70 volte sette”. Noi non abbiamo la forza per fare tutto questo. E Gesù  risponde: basta un granellino di senape di fede. La fede chiama fede. Il seme di senape, uan  volta che lo metti per terra produce un albero di cinque metri.

La fede non è credere. Che Dio esiste lo sa anche il demonio. La fede è un rapporto personale con lui. Quando ti senti amato in un modo incomprensibile, incomparabile, allora  un po’ lo ami anche tu. Questo il demonio non lo fa.  Cosa capiscono queste persone che iniziano ad amare il Signore? capiscono il concetto di gratuità! Anche se facciamo tutto quello che lui dice, dobbiamo dire che siamo servi inutili. “Mi hai amato gratis e io amo gratis. “Gratuitamente avete ricevuto e gratuitamente date”. Mt 10,8 Lui ci perdonerà sempre. Gratis. Chi fa questa esperienza ricambia gratis, senza ricompensa, senza aspettarsi nulla. Anche quanto facciamo qualcosa di buono, non dobbiamo farlo per sentirci dire grazie. A me è dato l’amore di Dio gratis. E io ricambio facendo del bene gratis.

2Questa è la fede.

In tempi di crisi

La guerra impazza, la minaccia dell’uso di dispositivi atomici è sempre più incombente, il prezzo di gas ed energia elettrica cresce e a ottobre chissà cosa accadrà, gli scontri in Iran crescono e in tutto il mondo si scende in piazza, i contagi covid risalgono, si gestiscono ancora ma chissà.

E’ un tempo inquietante, indecifrabile.

L’umanità impazzirà opporre comincerà a gridare la propria rabbia nelle strade.

Eppure è in tempo di crisi che chi sta meglio dovrebbe dare di più rispetto a quelli che stanno peggio, e non chiudersi in sé.

La prima lettura di oggi descrive bene questi scenari, ciclici nella storia dell’umanità:
“Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?”. Gb 42,1-3

Anche ai tempi di Gesù le cose non andavano bene. Allora che cosa fanno i discepoli?
Si mettono a pregare e a chiedere a Gesù: “Aumenta la nostra fede!”. Lc 10,17-24

Allora Gesù spiega cosa fare con una parabola: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.

Vuole dire che l’uomo di fede nei confronti di Dio è quello che si rimette completamente alla sua volontà, senza se e senza ma, senza calcoli o pretese.
Quello che si mette al servizio degli altri prima che pensare ai suoi interessi, alle sue convenienze, a salvarsi di fronte alla crisi.
Invece non si accorge che proprio questa è la strada per salvarsi: mettersi a servizio del prossimo.

Quanto contano le piccole cose!

La malattia le dava dolori intollerabili, disumani. La priora aveva deciso che a una carmelitana non era necessario dare della morfina. I polmoni erano totalmente devastati e le rendevano faticosissimo il respirare, e non c’era allora neppure la possibilità d’avere dell’ossigeno.

Teresa era spaventata: “Se sapeste che cosa vuol dire non riuscire a respirare! Se soffoco il buon Dio mi darà la forza. Ogni respiro è un dolore violento, però non è ancora tale da farmi gridare”.

E, guardando un’immagine della Madonna:
“Vergine Santa, tu lo sai che soffoco se manca l’aria della terra. Ma quando il Signore mi darà l’aria del cielo?”

Gli ultimi suoi mesi sono scanditi da una sofferenza inumana.

A chi le chiede se le sue sofferenze si sono fatte insopportabili risponde:
“No, posso ancora dire al Buon Dio che lo amo e trovo che sia abbastanza. Stanotte non ne potevo più: ho chiesto alla Santa Vergine di prendermi la testa tra le sue mani, perché potessi sopportare il dolore”.

Eppure di quegli atroci dolori dice:
“Io amo tutto ciò che il Buon Dio mi manda”.

Ebbe una lunga e penosissima agonia. Racconta la sorella: «Un tremendo rantolo le lacerava il petto. Aveva il viso congestionato, le mani violacee, i piedi freddissimi, e tremava con tutto il corpo.

Guardando la sua Priora disse:
“Madre mia, non è ancora l’agonia? Dunque non sto ancora per morire?”

La priora le rispose che forse il buon Dio voleva attendere ancora un poco.
Rispose: “E allora, avanti! avanti! Non vorrei soffrir meno a lungo…”.

Poi guardò il suo Crocifisso e disse:
«Io lo amo! Mio Dio, io vi amo!».

La testa le ricadde all’indietro, i suoi occhi restarono fissi per lo spazio di un Credo, splendenti.
Poi spirò.

Ma la cosa più sconvolgente è che, nonostante questo eroismo, la santità di Teresa di Lisieux non è fondata sulla sua vita eroica e volitiva e sulla sua forza disumana nel sopportare dolori più che atroci affidandoli a Dio. Questo aspetto infatti non coglie le sfaccettature della sua santità che invece sta quasi tutta, semplicemente e incredibilmente, sul suo atteggiamento nel gestire le piccole cose prima della malattia, oltre che sull’umile e totale abbandono in Dio e sulla corrispondenza piena al suo amore.

Quanto contano le piccole cose!