Chi sono io per te?

Per te io chi sono?
Quante volte ci hanno fatto questa domanda nel corso della nostra vita?
E noi cosa abbiamo risposto?

La stessa cosa è capitata quel giorno a Pietro.
Gesù fa la domanda: chi sono io per te, Pietro?

Pietro, sicuro di sé, dice: «Tu sei il Cristo».
Cristo in aramaico è Yeshu’a (Gesù), ovvero Giosuè, che significa “Yahweh è salvezza”.
In pratica, è uno che viene a salvare la nostra vita.

La stessa domanda la fa a noi.

E tu? Cosa avresti risposto?

Spesso, come Pietro, siamo tutti bravi a rispondere: «Tu sei il Cristo». Quando però Gesù ci dice che percorrere la sua strada non significa andare in discesa, ma salire, faticare, essere alla fine della fila e non a capo della carovana, all’ultimo posto e non in prima fila. A quel punto, come Pietro, cominciamo ad arrampicarci sugli specchi, a trovare dei compromessi, e ci arrabbiamo.

Se accettiamo che Gesù è il nostro salvatore, dobbiamo anche accettare la modalità che ha scelto, cioè la fragilità, l’ultimo posto, la salita.

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Mc 8,27-33