Categoria: Attualità

Quando un posto a sedere conta più della dignità: la vergogna del binario 15

E’ sconcertante la vicenda accaduta sul treno regionale Genova Milano, al binario 15.

Turisti e viaggiatori di ritorno dalla pasquetta, seduti nella carrozza riservata a venticinque disabili, si sono rifiutati di cedere loro quei posti, costringendo i ragazzi a scendere dal treno e a utilizzare un bus sostitutivo concesso dalle Ferrovie.
Ho letto la presa di posizione della responsabile di Haccade, l’associazione con cui viaggiavano i disabili, che assolve i viaggiatori, legittimamente seduti su sedili non numerati, e accusa Trenitalia per il disagio.
Ma il punto non è il disservizio, che pure c’è stato.

Il punto è la scelta. Abbiamo sempre una scelta.

E’ vero, quei viaggiatori non avevano alcuna responsabilità nell’accaduto.
Ma avevano pur sempre la possibilità di scegliere: alzarsi e restare in piedi (o peggio scendere loro dal treno e quindi arrivare a Milano in bus, certamente più scomodo), oppure restare comodamente seduti e mandare i disabili in pullman.

D’altronde tutta la loro vita è un po’ più comoda di quella dei 25 ragazzi disabili.

E voi che avreste fatto?

La scelta degli ucraini: come gli israeliti verso il Mar Rosso

Sono stato critico inizialmente nei confronti degli ucraini e della loro scelta inflessibile di non scendere a compromessi, di lottare per una libertà (non chiaramente definita) a costo della devastazione, della morte, dell’esodo e di tutto il dramma umanitario che è conseguente all’invasione della Russia.

Ieri però ascoltando il canto degli israeliti che si fa nella notte di Pasqua tutto è cambiato.

Si trovarono il mare davanti e il faraone dietro. Dovevano scegliere tra l’acqua del mar Rosso o vivere con il faraone. Non c’era scampo. Il mare non si apriva. Ma quando il primo israelita ha messo il piede nell’acqua allora, solo allora si è aperto il mare, solo dopo quel passo.

Solo quando hanno vinto sulla paura, quando il coraggio ha vinto sull’indecisione.

Per Israele quel coraggio fu il passo nel mare, per vincere la paura.
E per Israele quel passo fu la nascita, la libertà. Fatta a volte di esodo, a volte di deserto, a volte di dolore.

La libertà pesa, è una responsabilità, è una scommessa.

Ma la libertà guarda lontano.

Gli israeliti non si sono chiusi in se stessi, ma si sono aperti a una via tra le acque, scommettendo sul futuro.

Forse, in fondo, a torto o a ragione, è un po’ quello che hanno scelto di fare gli ucraini.

E, forse, è la scelta che ognuno dovrebbe fare per la sua vita: aprirsi a vie di vita, senza paura di fare quel passo.

Solo uomini nella foto: la gaffe del centrodestra e l’affondo scontatissimo del Pd

Impazza in queste ore la polemica sullo squadrone di soli maschi alla presentazione della coalizione di centrodestra a sostegno del sindaco Pierluigi Biondi.

Forse non è granché, ma comincia così, piaccia o non piaccia, la campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale del capoluogo abruzzese.

Galeotta fu la foto di rito che schiera sedici uomini abbracciati e sorridenti in posa come una squadra di calcio prima della partita.

Lo scivolone c’è stato, è inutile provare a glissare, e Biondi non potrà fare altro che prenderne atto e voltare pagina.

Uno scivolone con doppio salto mortale e che ha impedito al sindaco anche di cadere in piedi. Infatti dall’altra parte non solo tengono in particolare considerazione la quesitone “quote rosa”, ma lo stesso candidato sindaco del centrosinistra è una donna.

Era così scontato, quindi, che il Partito democratico inzuppasse il pane nella gaffe degli avversari addirittura gridando alla “vergogna”. Forse anche troppo scontato. Tanto da scomodare il segretario regionale, Michele Fina, che ricorda a tutti come “la rappresentanza delle donne, nelle istituzioni e nelle competizioni elettorali, è il primo fondamentale passo per dare considerazione alle loro esigenze… ecc ecc”.

Argomentazioni tanto sacrosante quanto scontate. Anche perché questa per ora è la forma e bisognerà vedere la sostanza, è solo la partita di andata, il ritorno ci sarà, ragionando su questo piano, quando si conteranno le donne in lista da una parte e dall’altra.

Qualcuno, in verità, si aspettava qualcosa in più dal Pd come primo vero affondo di una campagna elettorale agli esordi, qualche argomentazione più incisiva. Argomentazioni che certo non mancano al Pd e al centrosinistra.
Perché se ci si infila nelle disquisizioni sui temi di genere, allora non se ne esce più, e gli elettori, aquilani, potrebbero annoiarsi, sbadigliare e girarsi dall’altra parte, proprio perché si aspettano di più.
Anche perché, in fondo, il merito non deve avere sesso e, come si sa, le donne sono “superiori” agli uomini per intelligenza, forza e cuore.

Non dovrebbero servire quote, ma esempi spontanei di pluralismo di genere. E’ grazie a risorse diverse tra loro che la società – e quindi anche la politica – si arricchisce. Anziché appigliarsi a un riconoscimento arrivato in via legislativa al fine di riequilibrare la rappresentanza di sessi diversi con l’imposizione di specifiche quote (rosa), si sarebbe dovuto lavorare (e si deve ancora lavorare) affinché la rappresentanza sia una logica e naturale conseguenza della varietà. E ciò non solo nella pubblica amministrazione (cosa alquanto riduttiva), ma anche nell’imprenditoria, nella scienza, nello sport e così via.

Chi ha il potere di decidere (in questo caso gli elettori: uomini e donne) dovrebbe scegliere la persona che reputa migliore per quel determinato posto (in questo caso la poltrona di amministratore) assumendosi le responsabilità della propria scelta.
Le quote rosa purtroppo non garantiscono questo risultato. Anche perché troppo spesso (forse sempre) queste quote vengono applicate “al minimo matematico” quando invece la scelta “giusta”, in molti casi, sarebbe quella che vede più posti assegnati alle donne rispetto agli uomini. E si sa che non succede mai.

A decidere, insomma, sono sempre gli elettori. E gli elettori (anche se a volte sbagliano) hanno deciso ad esempio, ironia della sorte, che il Partito Democratico dell’Aquila non avesse neanche una consigliera comunale donna.

Va bene l’affondo al sindaco uscente, ma gli elettori vogliono di più, pretendono di più. Pretendono concretezza, soluzioni, argomentazioni su questioni tangibili, autorevolezza.

Il centrosinistra schiera capolista una come la Pezzopane, che di certo non manca di autorevolezza, astuzia, coraggio e intelligenza, avendo dimostrato per anni di metteresti nel taschino schiere di politici scalpitanti e… quasi sempre uomini.

La politica aquilana, però, può fare di più che paragonare la foto di Biondi a co. a quella del Congresso di Solvay a Bruxelles, anche perché, lì, una donna c’era.

L’orrore ha un nome, non si chiama né Russia né Nato

L’orrore ha un volto e ha anche un nome. Il volto è quello che si vede in questo video, il nome è “guerra”.

La bilancia delle responsabilità traballa. Se ne può parlare per ore, dando la “colpa” alla Russia, alla Nato, all’Ucraina, a Putin, a Biden,  a Zelensky, come in un gioco di strategia. Ma la violenza non è un gioco.

La violenza è sempre una colpa, sia quando la eserciti per sopraffare,  sia quando la eserciti per difenderti. La difesa non è un’attenuante perché la guerra è sempre odio, solo la pace è amore.

La verità è che tutto questo si chiama guerra. La guerra è un orrore, da qualunque lato si guardi, è un orrore se la guardi da Est, ed è un orrore se la guardi da Ovest.

La guerra fa schifo.

Qualcuno dovrebbe ricordarlo a Putin, perché volente o nolente, ora è l’unico che ha in mano la chiave della pace.
Purtroppo.

Video

 

Provo vergogna per chi giustifica la guerra (perché sono tanti quelli che lo fanno!)

Provo vergogna per tutti coloro che giustificano Putin o la sua strage.

Provo vergogna per loro, per il genere umano.

Mi arrendo alla cattiveria dell’uomo, non a quella di Putin, ma a quella di chi giustifica l’orrore e il dolore con paradigmi geopolitici, complottisti o con qualunque altra giustificazione. O solo perché altri leader Usa fecero lo stesso.

Perché la guerra non può essere mai giustificata, da qualunque prospettiva la si osservi. Perché il sangue ha lo stesso colore per tutti, per chi lo guarda da Est e per chi lo guarda da Ovest.

Credo che non ci siano parole che possano convincere queste persone filo-russe, filo-morte, se neanche la guerra riesce a farlo.

E credo che alcune di queste persone non comprenderebbero la follia della guerra nemmeno se a essere colpita da un razzo fosse la loro casa con i propri figli dentro.
Darebbero la colpa forse alla Von der Leyen, o a Biden, Obama o chissà a chi.

Perché il loro odio può essere fermato solo dall’amore, amore che forse manca in questo pazzo mondo. Solo l’amore può mettere in ridicolo l’orrore della nostra cattiveria.

Nella guerra riusciamo a scatenare l’odio, l’odio dell’umanità, il marciume dei nostri sentimenti.

Non si può giustificare questo odio, con nessun teorema.

D’altronde lo stesso odio fu riversato su Gesù, che non aveva fatto alcun male, anzi.
Aveva solo amato, guarito e perdonato.

Disse loro Pilato: “Che farò dunque di Gesù?”. Tutti gli risposero: “Sia crocifisso!”.
E Pilato: “Ma che male ha fatto?”.
Essi allora urlarono più forte: “Crocifiggilo lo stesso”.

Mio figlio è un bravo ragazzo

“Solo una goliardata”.

Lo ha detto il molestatore di Empoli che ha dato una pacca sul sedere della giornalista Greta Beccaglia dopo la partita con la Fiorentina. “A casa mi hanno detto: ‘Come ti è venuto in mente?’, racconta il giovane, “me l’ha detto anche la mia compagna. Sanno che non sono una persona cattiva”.

“Mio figlio ha fatto una cavolata, ma è un bravo ragazzo, siamo una famiglia per bene”.
Questo  lo ha detto invece il padre del giovane che l’altra sera ha accoltellato un carabiniere a Torino dopo una rapina.

E sul caso dei  ragazzi di Luco dei Marsi (L’Aquila) che su Instagram si riprendono in posizioni ambigue mentre maltrattano e una bambola gonfiabile proprio nel giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne, cosa è successo?

La stessa cosa. “Solo ironia”, si sono difesi, uno scherzo. L’unica differenza è che in questo caso nessuno ha chiesto scusa. Anzi, hanno cercato di denigrare anche la giornalista che ha scritto l’articolo e l’intera testata.

E sulla pistola postata con sotto il nome del giornalista, direttore della testata, cosa è successo?

La stessa cosa.  Solo “una pistola giocattolo”, hanno ribadito i ragazzi nel profilo dietro al quale si nascondono. Uno scherzo insomma.

Tutto questo non è normale. Di questo passo le cose non cambieranno mai.
Quello che è successo a Luco è stato denunciato da un giornale, e neanche questo è normale.
Non sarebbero dovuti essere i giornalisti a presentare una denuncia alle autorità, come è stato, su un post visto da centinaia di persone. L’indignazione sui social non basta più. Serve che parlino le associazioni, gli ordini professionali, le forze dell’ordine.
Non dovremmo arrivare all’indignazione per certe cose, ma dovremmo evitarle, dovremmo cambiarle, cambiarle prima.

Negare l’evidenza è il modo migliore per non cambiare mai. Non cambiare significa che le cose andranno sempre così, o anche peggio.

Affinché ci sia un cambiamento, un cambiamento interiore, serve un costruttivo dialogo intergenerazionale e non il chiassoso consenso dei genitori.
Bisogna fare questo affinché tutto l’entusiasmo giovanile, la creatività, la ribellione siano investiti per il bene e non per il male.

Alzare muri tra generazioni è sbagliato, bisogna abbatterli e capire cosa spinge ad atteggiamenti sconvenienti che agli occhi di chi li compie, e spesso anche dei loro genitori, sembrano positivi.
Bisogna accogliere il segno dei tempi che cambiano, ma non condividerli a priori dimenticando gli antichi valori, che  restano sempre valori e che non soccombono al tempo.
Il dialogo, non l’accondiscendenza sterile, è la strada giusta, anche se è una strada tortuosa.

Schiaffi alla bambola gonfiabile nel giorno anti violenza sulle donne, minacce con armi ai giornalisti (Video)

Ecco come ti cancello il Natale

E fu così che nell’era del politicamente corretto e dell’inclusione ipertrofica ecco che qualcuno provò a cancellare il Natale.

Non è la trama di un film in stile Chris Joseph Columbus, ma è quanto realmente accaduto a Bruxelles dove tra una legge anticovid e l’altra c’è anche chi dedica il proprio tempo a rinnovare il vocabolario delle lingue europee e a censurare parole che vanno contro il concetto di uguaglianza. Una sorta di elenco delle parole da bandire previste nelle linee guida della comunicazione inclusiva.

Tra queste parole il commissario, anzi, la commissaria Helena Dalli, ha inserito (per poi ripensarci forse per una folgorazione sulla via di Damasco) anche il Natale.
E tante altre parole.

E così spariscono le parole “omosessuale” rimpiazzata da “persona gay”, addio anche a “Signore e signori”, meglio cari colleghi.
E via via, per arrivare fino alla parola Natale, da cancellare perché potrebbe offendere la sensibilità di qualcuno, non si sa di chi.
Andrebbe sostituita dal vocabolo “vacanze”. E in tal modo Gesù bambino sarebbe nato il “giorno di vacanza”, noi potremmo augurare alla signora Helena “serene feste di vacanza” e di trovare “tanti regali sotto l’albero delle vacanze”.
E quindi addio presepi, addio regali di Natale (pardon, regali di vacanze), addio a panettoni e torroni, e addio anche a Giuseppe e Maria, perché nel prontuario dei termini da censurare sono finiti anche la mamma e il padre putativo di Gesù, perché si sconsiglia di pronunciare i nomi tipici di alcune tradizioni occidentali con un più generico nome arabo. Tanto che Gesù non sarebbe più il figlio di Giuseppe e Maria, ma di Malika e Julio, pur restando figlio di Dio, sempre che non si voglia cancellare anche il nome di Dio.

Signora Helena Dalli, buon Natale.